giovedì 29 giugno 2017

“I bravi artisti copiano, ma i grandi artisti rubano”: Picasso aveva ragione?

Mi arrendo: sono colpevole di sparizione ingiustificata. Ci sono stati motivi concreti, dei quali magari vi parlerò meglio nella prossima newsletter (sì, torna anche lei!), ma la cosa importante è: sono qui e ho montagne di spunti da sviluppare con voi. Comincio subito. 

Qualche giorno fa ho ripreso in mano il testo a cui lavoro da un pezzo – da troppo – e l’ho riletto come farebbe un estraneo, cercando di capire se tra una riga e l’altra emergessero somiglianze con altri autori, e se queste eventuali somiglianze sconfinassero nell’imitazione.

L’ho fatto perché anch’io, come credo ogni autore, ho cominciato a scrivere per creare storie come quelle che amavo leggere. Solo che all’inizio le scrivevo esattamente uguali. Quando ho scoperto Stephen King, ho divorato tutti i suoi romanzi e sull’onda dell’entusiasmo mi sono messo a comporre… scrivendo passaggi identici ai suoi, usando gli stessi aggettivi e le stesse costruzioni sintattiche. Non me ne accorgevo, ero nel pieno del flusso creativo che attingeva a quella scorpacciata monotematica e ossessiva.

Saper riconoscere le mie influenze ed eliminare il plagio è stato un passo fondamentale nella mia crescita come scrittore, ma non rinnego i primi balbettii fatti con una voce presa a prestito. Se ci pensate, è così che da scimmiette urlanti diventiamo esseri umani adulti: copiando gli altri fino a diventare noi stessi. E non c’è da vergognarsene.

Ci sono esempi illustri di grandi della letteratura che hanno dedicato tempo alla “copia”: nel 1908 Proust scrisse per Le Figaro una serie di pastiches, articoli composti da citazioni e brani di diversi autori, imitandone passo passo la voce e le forme. Stava esercitando i muscoli e definendo il suo stile.

T.S. Eliot ha composto La terra desolata mettendo insieme montagne di citazioni – senza neppure accreditarle tutte – convinto com’era che “un buon poeta salda il suo furto in un complesso di sensi che è unico, interamente diverso da ciò da cui è avulso”; John Milton sosteneva che fosse lecito, se non doveroso, riprendere diverse fonti, a patto però di migliorarne il contributo.

Quindi rubare sì, ma copiare no? Io farei una distinzione tra contenuti, che possono non essere originali, e stile, unico e personale. (D’altra parte rubare, nel senso di riprendere tematiche, atmosfere, idee, è inevitabile: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” l’ha detto il chimico Lavoisier a proposito della conservazione delle masse, ma vale per tutto, compresi i libri.) 

Imitare è un ottimo esercizio e aiuta a scoprire la propria vera voce, ma deve restare quello, appunto: un esercizio. Ce lo dice anche Natalie Goldberg in Scrivere Zen:

“Lo scrittore è sempre pronto a innamorarsi. Si innamora di altri scrittori, ed è così che impara a scrivere. Si appassiona a uno scrittore, legge tutto quello che ha scritto, e poi lo rilegge finché non ha capito come si muove, su cosa si sofferma, come vede”. 

Dagli autori che amiamo possiamo e dobbiamo imparare: smontiamo i loro testi, mettiamo a nudo le loro tecniche, vediamo che cosa funziona e cosa no. Ci procuriamo nuovi attrezzi con cui riempire la borsa da lavoro, quella di cui parla proprio Stephen King in On writing (ricordate? Ne abbiamo già parlato) e che ci permetterà di creare prima o poi qualcosa di assolutamente nostro.

E allora leggete, leggete tanto (repetita juvant, no?), analizzate quello che leggete e poi mettete in pratica le vostre scoperte. Non abbiate paura di suonare come Tizio o Caio, in principio (magari preoccupatevi solo se vi sembra di scrivere come Moccia). È fisiologico. Prendetene atto e andate avanti, insistete, affinate occhi e orecchie fino a che quelle frasi, quel modo di dire le cose, non diventeranno pienamente vostri.

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